I miei primi quindici anni: don Michele si racconta

Pubblicato giorno 15 ottobre 2015 - In home page

Mercoledì 7 ottobre, nei locali dell’oratorio, si è tenuta una festa importante: il nostro parroco, don Michele, ha festeggiato un doppio anniversario, ovvero i quindici anni di Ordinazione sacerdotale ed i tredici alla guida della nostra Parrocchia.
La partecipazione, come al solito, è stata numerosa, a dimostrazione dell’affetto che lega tante persone a don Michele; a lui abbiamo chiesto di fare con noi un bilancio di questi quindici anni.

Quindici anni sono una tappa importante, ma come è iniziata questa tua bella missione? Quel’ è stato, se c’è stato, il momento esatto in cui hai capito che saresti diventato un “don”?
Ho iniziato a pensare a questa prospettiva quando avevo più di venti anni, maturandola mentre studiavo all’Università. E’ stata una decisione meditata giorno per giorno, nell’arco di qualche anno. Il desiderio di divenire sacerdote si faceva spazio dentro di me, senza mai toglire niente alla mia volontà di concludere gli studi, perché anche questo era un modo per verificare le capacità che avrei avuto di portare avanti gli impegni presi. Non ho mai avuto un progresso veloce verso questa scelta: ripeto, l’ho maturata lentamente.
Hai trascorso i primi due anni da sacerdote nella Parrocchia delle Casermette. Cosa ricordi di quel periodo?
Dopo essere stato ordinato, il 7 ottobre del 2000, verso la fine di quello stesso mese, il Vescovo Scatizzi mi chiese di andare a fare il servizio di Vicario parrocchiale alle Casermette, dove era parroco don Mauro Gatti, anche perché nel frattempo, essendomi laureato in Giurisprudenza e su indicazione dei miei insegnanti, avevo scelto di frequentare i corsi di studio per la Licenza in Diritto Canonico, a Roma. Questo impegno fuori città, della durata di due anni, esigeva un servizio a tempo parziale in una parrocchia e quella delle Casermette fu ritenuta dal Vescovo la più consona alle mie caratteristiche; tra l’altro, don Mauro da solo non poteva portare avanti un progetto dedicato ai ragazzi ed agli adolescenti. Di quegli anni ho un ricordo molto bello, perché ho iniziato il mio ministero con la celebrazione dei sacramenti, in particolare presiedendo la Messa della domenica, alle 11, ossia quella della comunità. Ho avuto la possibilità, dal giovedì sera, quando tornavo da Roma, alla domenica pomeriggio, quando ripartivo per la capitale, di stare a contatto con un gruppo di adolescenti, alcuni dei quali  frequentavano la Parrocchia, partecipando assiduamente alla Messa, mentre altri  gravitavano intorno ai locali della chiesa, senza però frequentarla. Con gli uni e con gli altri ho cercato di trovare punti di incontro,  proponendo attività varie, incontri di formazione e di preghiera, la celebrazione periodica del sacramento della Penitenza, giornate da trascorrere insieme, sia nel periodo invernale, per esempio a Villa Rospigliosi di Candeglia, sia nel periodo estivo: ricordo, ad esempio, l’esperienza di Spignana. Non ho davvero nessun ricordo negativo di quel periodo,  che va dall’ottobre del 2000 fino al luglio del 2002.
Poi l’arrivo a San Pierino Casa al Vescovo. Come è cambiata, a tuo parere, la nostra parrocchia in questi tredici anni ?
Oggettivamente direi che è cambiata molto e per tanti motivi. Abbiamo cercato insieme, fin dall’inizio, di rinnovare lo stile dell’evangelizzazione, in primis  coinvolgendo le famiglie ed i genitori dei ragazzi che frequentano il catechismo. Ricordo che diversi anni fa, abbiamo organizzato, sia il sabato che la domenica, l’incontro con i genitori e con  altri adulti, mentre i ragazzi erano seguiti dalle catechiste. Per quattro anni abbiamo letto e commentato il “Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica”, che era stato pubblicato in quegli anni. Un altro impegno che abbiamo sempre portato avanti è quello inerente gli adolescenti, con l’obiettivo di tenerli con noi anche dopo la Cresima, mediante proposte di formazione e di ricreazione. Con i giovani nati nel 1990, per esempio, per un anno abbiamo letto  “Momo”, il romanzo di Michael Ende, per poi passare agli oratori ed ai campi del periodo estivo: ricordo quelli di  Pracchia e di Lizzano Pistoiese. La novità maggiore, comunque, penso sia stata nel coinvolgimento costante dei genitori nell’iniziazione cristiana dei ragazzi, per creare una comunità di famiglie nella quale tutti possono dare il proprio contributo a livello di educazione alla fede ed alla crescita umana dei più piccoli. Direi che prima di tutto è cambiato questo. Poi sono cambiate altre situazioni legate agli spazi a nostra disposizione, con il recupero, nel 2012, di quei locali parrocchiali di cui festeggeremo tra poco il cinquantesimo anniversario della costruzione: si è visto come l’idea di passare da un circolo ad un oratorio abbia dato nuovo slancio ed entusiasmo, oltre a spazi fisici dove svolgere le nostre attività. Non è stato soltanto il cambiamento di un nome, ma anche un metodo ed uno stile, sposando una proposta, quella dell’oratorio parrocchiale, che mette al centro i ragazzi e le loro famiglie. Oggi si vede molto bene che siamo una comunità di famiglie che hanno a cuore non solo la crescita dei figli ma anche la propria: in questo modo, tutti possiamo continuare  a maturare ed a crescere nella fede, imparando a stare insieme, perché annunciare il Vangelo vuol dire non soltanto annunciare delle verità di fede, ma anche instaurare una relazione con Gesù e con tutti coloro che Lui ci mette accanto.
E don Michele del futuro, magari tra altri quindici anni, come te lo immagini ?
A dire la verità, e questo può anche essere visto come un mio limite, tra quindici anni mi vorrei vedere così come sono ora: in questa comunità ed impegnato a portare avanti il mio servizio al Tribunale ecclesiastico. Se potessi decidere io, e darò il mio contributo affinché sia così, mi penserei ancora all’interno di una comunità come questa, a lavorare insieme alla gente, per rendere la parrocchia il più possibile serena e vivace, una realtà dove anche quelli che vengono da fuori si possano sentire a proprio agio. Non ho mai avuto desideri particolari, perché quando uno è stato ordinato sacerdote, ha una sua comunità di riferimento, fa anche un altro servizio, che per me è quello del Tribunale ecclesiastico, cos’ altro può desiderare? Magari potessimo continuare così, andando incontro al Signore che viene! Naturalmente, occorre ricordarci che non tutto dipende da noi. Concludendo, mi sento di dire che mi trovo parecchio bene con voi e spero di continuare così anche in futuro. Come si suol dire: noi si propone e Dio dispone.