La cena ebraica

Pubblicato giorno 4 aprile 2015 - In home page

Una serata davvero speciale quella vissuta giovedì  nei locali dell’oratorio parrocchiale, dove si è tenuta una cena ebraica, sul modello di quella pasquale del tempo di Gesù e per sottolinearne le differenze sostanziali rispetto alla successiva Messa “nella cena del Signore” .  L’iniziativa è stata ben accolta e gradita da un buon numero di adolescenti e giovani, che hanno potuto rivivere i tradizionali gesti e comprenderne i significati grazie al gran lavoro documentale di  Giovanni Zoppi che, coadiuvato dalle letture di don Michele, ha presieduto questa celebrazione spiegando via via,  in maniera chiarissima agli intervenuti, il perché venissero consumate le vivande presenti in tavola. Proprio Giovanni ha esordito intonando il canto “ Shemà Israel “ ( Ascolta Israele ) tratto dal libro del Deuteronomio. Al termine sono stati accesi i ceri simbolo della luce che porta la vita nel mondo e riempite le quattro coppe con vino dolce ad indicare rispettivamente l’ uscita dall’Egitto, la salvezza, la liberazione e l’alleanza di Dio con il popolo di Israele. A questo punto è stato intinto un gambo di sedano in un misto di acqua salata ed aceto a significare le tante sofferenze che rendono amara la vita. Si è poi passati a presentare il pane azzimo, non lievitato a causa dell’impellenza dettata dal dover fuggire dalla terra dei faraoni che non permise agli ebrei di attendere la consueta lievitazione dell’alimento. Si è passati poi al Magghi’d ossia alla narrazione dell’esodo e del cammino verso la salvezza del popolo ebraico impreziosito dal canto Dajenù ( Ci sarebbe bastato ) che nella sua ripetitività  aiuta a meditare il fatto che i doni ricevuti da Dio sono molto maggiori delle attese e degli stessi bisogni: avremmo potuto credere in Dio ed essere felici con molto meno di quanto abbiamo ricevuto, recita il testo.  La parola a questo punto è passata al piccolo Giacomo che ha posto le tradizionali domande (Perché mangiamo l’agnello? Qual è il suo significato? ) ricevendo dal celebrante, in risposta, il racconto dello sterminio degli egiziani compiuto dagli angeli di Dio i quali, invece, risparmiarono gli ebrei che per farsi riconoscere avevano segnato con il sangue dell’agnello stesso gli stipiti delle porte delle loro abitazioni. Si è così passati a consumare la cena: il pane azzimo intinto nell’ harosèt  una salsa di frutti dolci e secchi a formare una poltiglia che ricorda (ma solo alla vista perché il gusto è risultato assai gradevole ) la calcina usata dagli schiavi ebrei per costruire con gran fatica, i pesanti mattoni per i potenti dominatori egiziani , l’agnello, le uova sode e le erbe amare in memoria delle amarezze sofferte durante la schiavitù. Una serata bella, raccolta ed assai istruttiva per giovani e meno giovani che sicuramente sarà ripetuta per diventare un appuntamento tradizionale della nostra comunità nel periodo pasquale. Grazie a Giovanni, a coloro che hanno contribuito a rendere speciale l’attesa della Santa Messa del Giovedì santo incentrata proprio sulla memoria dell’ultima cena del Signore con i suoi apostoli, ed in particolare alla signora Romana che ha saputo cucinare l’agnello come solo una brava mano esperta può fare.